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A proposito di luppolo: 'hops on the world'

Tutti sappiamo che da secoli si è consolidato l’utilizzo di luppolo nella produzione della birra per equilibrare la dolcezza donatale dal malto. Questa particolarità però non è l’unica che l’ormai noto rampicante possiede. Significative sono anche l’attività antibatterica, la capacità di stabilizzare la schiuma e quella chiarificante. Non ultimo, tante tendenze birrarie di questi ultimi anni sono dettate dalla ricerca di un’altra sua peculiare caratteristica, l’aroma. Sono innumerevoli le cultivar esistenti; ogni regione coltivatrice di luppolo ha le sue varietà, ognuna con un proprio profilo amaricante e aromatico che cambia in funzione delle condizioni geografiche e climatiche. Vengono definite «varietà da amaro» quelle con alti livelli di alfa-acidi, «varietà da aroma» quelle con alti livelli di oli essenziali. Queste ultime sono generalmente più costose e conferiscono comunque una certa nota amara. I sentori che l’aroma dei coni – cioè le infiorescenze – di luppolo richiama principalmente sono erbacei, agrumati, floreali, fruttati e balsamici. Alcune scuole birrarie sfruttano e ricercano un intenso profilo aromatico nelle proprie birre; ad esempio molto marcato nelle Bitter Ale inglesi ed americane, molto meno percettibile nella maggior parte delle Pilsner europee. Nella produzione continentale sono di grande rilevanza le varietà boema Saaz e quelle della Germania meridionale Hallertau Mittelfrüh e Tettnanger – cultivar generalmente morbide e delicate. Nella tradizione tedesca vi è minor propensione ad intensificare il lato aromatico del luppolo perché, essendo di bassa fermentazione, le birre risultano più fini ed equilibrate rispetto alle ben più decise Ale. In Belgio, luogo dove con tutta probabilità ne venne introdotto l’uso, è impiegato soprattutto per l’aspetto amaricante; qui è ormai poco coltivato, se non nella zona di Popoeringe, mentre viene importato in grandi quantità dalla Boemia, dal Regno Unito e dalla Slovenia. La scuola birraria britannica è invece saldamente attaccata all’uso di questa pianta infestante. Si sostiene che sia cuore ed anima della birra e proprio per ciò lo si usa in grandi quantità. Tra le cultivar più note il Challenger, il Target, il Kent Golding ed il Fuggle. In linea di massima presentano un morbido apporto amaro abbinato ad una ben presente parte aromatica. La qualità e le caratteristiche di questi luppoli permettono di raggiungere alti livelli amaricanti in alcune birre – ad esempio le India Pale Ale – senza che risultino però sgradevoli e moleste. Dall’altra parte dell’Atlantico, negli States, grazie ai tanti birrifici artigianali che negli anni hanno riscoperto e reinterpretato stili quasi abbandonati, l’utilizzo del luppolo è fortemente aumentato. Le Ale americane si distinguono per l’uso di piante locali con profili molto diversi da quelli europei. Il Willamette è un luppolo aromatico con sentori erbacei e floreali coltivato in Oregon; anche il Cascade, prodotto nella Yakima Valley nello Stato di Washington, è una varietà da aroma che dona intense note agrumate; il Chinook è invece utilizzato per le sue proprietà amaricanti. Talvolta i brewmaster americani estremizzano l’uso di luppolo in alcune delle proprie birre. Nascono birre amarissime e fortemente aromatiche – spesso ben bilanciate da un’intensa presenza di malto. Tra gli esempi più classici la storica Liberty Ale di Anchor Brewing Company, seppur non a livelli estremi, fu una birra innovativa perché fortemente caratterizzata dalla presenza di Cascade. Grande portabandiera del genere extreme beers è invece l’Arrogan Bastard Ale di Stone Brewing che raggiunge ben cento unità di IBU (International Bitterness Unit). Resta solo da scegliere da che parte si sta: impercettibile o arrogante? Amaro o aroma? Scuola tedesca o anglo-americana?